venerdì 30 dicembre 2011

una felicità

I miei primi anni di vita sono colmi di stupide malinconie, pianti per un nonnulla, picci vari, ma col senno di poi posso affermare (forse) di essere stata abbastanza imprudente e spensierata nei confronti del mondo e della vita.
Mi pare come se d'un tratto la mia visione del mondo fosse cambiata.
Ricordo che quando ero una bambina vedevo le altre persone svolgere le loro azioni con tutta quella voglia di fare, mi sembravano grati alla vita per il solo fatto di starsi muovendo. Coi miei occhi di bambina li vedevo sorridere, vedevo la gente camminare felice per strada, anche se tutta indaffarata. Ricordo che la mia impressione sul mondo degli adulti era decisamente positiva e che ero ben felice di essere nata in quel fantastico mondo moderno, felice anche che presto o tardi anch'io sarei entrata a far parte della fascia adulta. Caspita se tutto questo mi rendeva tranquilla! OVVIAMENTE all'età che avevo pensavo a tutt'altro...quindi non è che fossi poi così felice in fondo, anzi. Solo che, ora come ora, ricordo che a quell'età era proprio quel mio pensare a tutt'altro a rendermi immune alla infelicità odierna (ne avevo di altro tipo). Nel senso che, non trattandosi dell'infelicità profonda di adesso, era sicuramente altro da ciò.
Ora quando guardo gli altri non riesco a vedere volti felici.
Mi capita davvero raramente, e quei momenti in cui mi capita sono i più commoventi. Mi commuove la felicità, quella vera che viene dalla semplicità, quella d'un sorriso improvviso per vere emozioni. Quella inspiegabile! Al contrario non sopporto la felicità falsa ed illusoria venduta come modello da tutti i Media. Modello che a volte costa così tanto che non tutti possono permetterselo. Ed una felicità che non possono condividere tutti non è reale felicità (la felicità è reale solo se condivisa - cit. Into The Wild). Questo fake di felicità mi rattrista e mi deprime il doppio. E continuo a vedere la gente che svolge le proprie mansioni, che va a lavorare quasi con dolore (quando invece dovrebbe esserne fiera e contenta), che viene maltrattata da chi pensa di potersi permettere qualsiasi cosa. Non vedo volti felici per davvero. Non mi resta che sperare nel farmi forza, e che ciò possa far forza anche a coloro che entrano in contatto con me. Sarò un trasmettitore di felicità..sarei felice di esserlo.

mercoledì 28 dicembre 2011

filosofia e retorica

Retorica e Filosofia
si distinguono laddove ci sia o non ci sia da parte dell'oratore la volontà di persuadere i suoi auditori delle ragioni espresse e date per certe in un proprio discorso, ragioni in cui egli per primo crede fermamente.


(Ma il problema non è risolto...)
Quest'ultima parola però (retorica) è stata spesso bistrattata e male-utilizzata nel tempo. Il suo significato è stato frainteso, proprio come nel caso analogo della parola "anarchia", diventata un termine dispregiativo indicante tutt'altro che il significato datovi dagli anarchici. Retorica non è l'arte di ottenere ragione, retorica è l'espressione di un pensiero che non vuole essere inteso come una verità oggettiva ed assoluta, non dev'essere meramente un modo per omologarsi e rendersi comprensibili all'auditore comune od a chiunque. Retorica è far fuoriuscire ciò che in realtà solo dentro sé si pensa sia vivo e giusto.

"L'argomentazione filosofica, come quella giuridica, costituisce l'applicazione a un ambito particolare di una teoria generale dell'argomentazione che consideriamo come nuova retorica. Identificando quest'ultima come la teoria generale del discorso persuasivo, che tende a suscitare l'adesione, sia intellettuale che emotiva, di un uditorio, qualunque esso sia, affermiamo che ogni discorso che non aspiri a una validità impersonale appartiene all'ambito della retorica. Allorché comunicazione tende a influenzare una o più persone, a orientare il loro pensiero, a suscitare o placare le emozioni, a dirigere un'azione, essa fa parte del campo della retorica. Quest'ultima comprende, come caso particolare, la dialettica, tecnica della controversia. Così concepita, essa copre l'immensa regione del pensiero non formalizzato..." -
Chaim Perelman

Premesso ciò, non posso che arrivare alla conclusione che non ci sia, dunque, una netta e reale distinzione tra le due parole: "retorica" e "filosofia"....
Per sottolineare la differenza ci si potrebbe appellare alla mancanza di volontà di persuasione insita nei discorsi filosofici, al contrario di quelli retorici dove è invece oltremodo presente.
Ad esempio è anche vero che si può far uso di retorica pur manifestando idee nelle quali non è necessario credere, dato che l'unico scopo di tale manifestazione altro non è che convincere, persuadere l'uditorio delle ragioni da noi esposte. In questo caso l'importante è, infatti, che siano gli altri a crederci/cascarci. Insomma, per uscirne basterebbe dunque chiamare questa "retorica della persuasione" in alcuna maniera che non sia "demagogia" o "populismo".

sabato 17 dicembre 2011

La paura come reazione

Tutto quello che ci accade, che ci succede emotivamente, cioè che subiamo a livello emozionale, è esclusivamente colpa nostra.
Ciò che proviamo, specialmente quando si tratta di sensazioni negative e pericolose per la nostra integrità emotiva, lo proviamo soltanto a causa nostra.
Se "sentiamo" e "proviamo" in un modo piuttosto che in un altro, significa che così abbiamo imparato nel corso della nostra esistenza, e così ci viene dunque spontaneo e naturale reagire in conseguenza a certe e determinate situazioni.

Ciò che ci accade è solo colpa nostra. Mentre cresciamo, alimentiamo in noi un certo modo di pensare (o perlomeno quest'ultimo viene alimentato in noi, lo subiamo), e molte nostre personali paure, le quali non è detto che siano condivise in maniera identica da chiunque. L'unica certezza che su questo argomento possiamo avere è che chiunque cudstodisce in sé le proprie paure. Quindi, per quanto possano essere diverse tra loro, sono comunque qualcosa che ci accomuna. La vita dell'uomo, ogni giorno che passa, ha ragion d'essere poiché vi è sempre una nuova paura da superare. Non esiste essere umano senza alcun tipo di paura, e forse non esiste alcun essere vivente che esuli da ciò.

C'è chi ha paura di soffrire, c'è chi ha paura di morire, c'è chi ha paura di vivere. I primi due casi possono essere visti come sottocategorie dell'ultimo elencato, perchè sofferenza e morte son due luoghi imprescindibili del percorso della vita. Se insistiamo col dare la colpa agli altri per come "ci fanno sentire" (che già di per sé è un modo errato di esprimersi), commettiamo un grave, quanto grande, errore. Non è alcuno capace di comprendere o prevedere come avremmo potuto reagire ad un proprio modo di fare. Sarebbe disumano, disumano e ingiusto, accusarlo di cattiveria ed egocentrismo.

Io sto male per un motivo, per questo mio male non incolpo nessuno. So benissimo che se reagisco in questa maniera è perché così ho imparato nei miei anni di vita. Questo mio dolore non è dunque responsabilità di altri, di terzi.

C'è da aggiungere anche che, secondo una visione deterministica, la colpa non dovrebbe essere manco mia, ma trovo inutile speculare su ciò solo come tentativo di rendersi la vita più facile, tanto non funziona e non funzionerà mai.


venerdì 16 dicembre 2011

Il ritratto di Dorian Gray - Oscar Wilde

- Gli individui comuni aspettano che la vita dischiuda loro i suoi segreti; ma solo a pochi, agli eletti, la vita rivela i suoi misteri prima che squarci il velo.
L'arte sortisce talvolta questo effetto - e, in particolare, la letteratura che investe in modo più immediato le passioni e l'intelletto.
Ma, di tanto in tanto, una personalità complessa prende il posto dell'arte e se ne assume il compito: diventa, a suo modo, una vera opera d'arte, poiché anche la vita produce i suoi capolavori elaborati, esattamente come la poesia, la scultura o la pittura.

- Se guardava indietro al cammino dell'uomo nella Storia, era ossessionato dalla sensazione di una grave perdita. A quante cose gli uomini avevano rinucniato! E per quali miseri scopi! Si erano imposti inaudite rinunce, atti mostruosi di tortura e negazione di sé, che nascevano dalla paura e si risolvevevano in una degradazione infinitamente più abominevole di quell'immaginaria degradazione da cui, nella loro ignoranza, avevano cercato di fuggire.

giovedì 15 dicembre 2011

I cosiddetti sani - Erich Fromm

Dalla lettura di un manuale di psichiatria e dallo studio delle nevrosi e delle psicosi si può ricavare l'idea che tali patologie siano delle risposte che l'individuo dà al problema dell'esistenza umana. Si può quindi affermare che ad ammalarsi di nevrosi e psicosi sono proprio le persone più sensibili della media al problema del senso della vita. Di norma, la maggior parte delle persone ha la pelle più dura e risponde alla questione religiosa, vale a dire alla questione di un determinato quadro di riferimento e di un determinato oggetto di devozione, nel modo prescritto dalla propria cultura. Chi invece è più sensibili e non riesce a trascurare l'impellenza del bisogno di religione, elabora un proprio credo profetico che lo psichiatra definisce poi nevrosi o psicosi.

domenica 11 dicembre 2011

La Nausea - Jean Paul Sartre

Sono solo in mezzo a queste voci gioiose e ragionevoli.
Tutti questi tipi passano il loro tempo a spiegarsi, a riconoscere felicitandosene che sono della stessa opinione. Quanta importanza attribuiscono, mio Dio, a pensare tutti quanti le stesse cose.
Basta vedere la faccia che fanno quando passa in mezzo a loro uno di questi uomini dagli occhi di pesce, che sembrano guardare al di dentro e coi quali non si può più assolutamentre trovarsi d'accordo.

mercoledì 7 dicembre 2011

Questa CRISI

Questa crisi mondiale io la attribuisco principalmente a 2 motivi:

-  il primo è rappresentato da una scelta fatta, per forza di cose, tanti anni fa...lo conosciamo bene...è il CAPITALISMO....mi chiedo come sia possibile nella nostra generazione, con tutti i genii che ci sono, che non si sia trovata ancora un'alternativa.....MA PER FAVORE...è solo che ai potenti non conviene!!

-  il secondo è invece chiarito e descritto perfettamente in questa canzone:


LUCA CARBONI - LA MIA CITTA'

La mia città, senza pietà, la mia città
ma come è dolce certe sere
a volte no, senza pietà
mi chiude in una stanza
mi fa sentire solo

Una città, senza pietà, la mia città
non la conosco mai fino in fondo
troppi portoni, troppi cassetti
io non ti trovo mai
tu dimmi dove sei

Adesso dove si va, cosa si fa, dove si va
siamo sempre dentro a qualcosa
un'auto che va o dentro un tram
senza mai vedere il cielo
e respirando smog...

ma guarda là, che cazzo fa, ma pensa te
ma come guida quel deficiente
poi guarda qua, che ora e' già
ma chi ti ha dato la patente
che ti scoppiasse un dente
a te....

siamo sempre di corsa
sempre in agitazione
anche te...

che anche se lecchi il gelato
hai lo sguardo incazzato

La mia città, senza pietà, la mia città
ma come è bella la mattina
quando si accende, quando si sveglia
e ricominciano i rumori
promette tante cose

Ma dimmi dove sarà, prima era qua
c'è un nero che chiede aiuto
dove sarà questa città
E' sparita senza pietà
c'ha troppi muri la mia città


Ma guarda che civiltà la mia città
con mille sbarre alle finestre
guardie giurate, porte blindate
e un miliardo di antifurti
che stanno sempre a suonare


Perché...
c'è chi ha troppo di meno
e chi non si accontenta
e c'è...
chi si deve bucare
in un angolo di dolore

e c'è...
che c'è bisogno di tutto
c'è bisogno di un trucco

Senza pietà, la mia città
"Signora guardi che belle case
però a lei no, non gliela do
mi dispiace signora mia
è tutto uso foresteria"

La mia città, senza pietà, una città
ti dice che non è vero
che non c'è più la povertà
perché è tutta coperta
dalla pubblicità


C'è chi a lavorare
è obbligato a imbrogliare
e c'è...
chi per poterti fregare
ha imparato a studiare

E c'è...
che c'è bisogno di un trucco
c'è bisogno di tutto
e c'è...
bisogno di più amore
dentro a questa prigione.