venerdì 28 dicembre 2012

urla disperate



Erano le 01 e 16 minuti, era notte fonda, tre ragazzi camminavano per strada, amici di una vita o amici da pochi minuti, neanche loro sapevano più distinguerlo. Erano leggermente su di giri, ma ciò non lo si evinceva da nulla, erano semplicemente un po’ più “sollevati” del solito da qualsiasi problema ed anche un po’ più disinibiti. Camminavano per strada soli, una strada che pur se statale risultava semi-deserta e semi-buia. Questi tre ragazzi passeggiavano, camminavano, nel frattempo pensavano. Non sappiamo bene a cosa pensassero, sappiamo soltanto che pensavano, e su questo non c’era dubbio. Probabilmente chi al futuro prossimo, chi al futuro remoto, chi ai suoi problemi, anzi un po’ tutti. Niente di irrisolvibile, solo ordinaria amministrazione del tipo: che mi succederà? tra qualche anno come starò messo?
Ad un tratto passeggiando si trovarono a costeggiare un immenso parco sul quale la strada si affacciava, e vi era un accesso principale un po’ più avanti, costituito da qualche gradino (una ventina) per goderne appieno della superficie. Per il resto si poteva ammirare bene dall’alto della strada, ma mai quanto dall’alto dei balconi dei sesti e settimi piani dei palazzi circostanti. Soltanto che la gente del posto, un po’ per inerzia nel vederlo sempre, oramai abituata, non ci faceva più manco caso, non aveva più quasi senso. Era una delle tante cose della vita alla quale ti assuefai e non alla fine non la noti neanche più.
Questi ragazzi, nella loro reciproca solitaria compagnia (l’ossimoro si sposa perfettamente con la situazione interiore che pur tre giovani ragazzi assieme possono avere) anche se tra una battuta e l’altra, non poterono oltrepassare questo parco senza lasciarsi andare ad un’idea malsana che sarebbe stata fonte di disprezzo nei loro confronti da parte dei sonnolenti e oramai dormienti abitanti degli immobili nei paraggi. D’improvviso i tre ragazzi presero a gridare, uno dopo l’altro, la sola vocale che evidentemente conoscevano: “oooooooooooooooH” – “ooooooooh” “oooooooooooooooooooooh”.
Per gli auditori potea sembrare un gioco fine a se stesso, vuoto, dispersivo, idiota, fastidioso, ma per gli urlatori era un potente sfogo, uno schiaffo al futuro ed un fanculo al passato. Era un urlare: “io sono qui, adesso, è questo ciò che conta!” – “io sto vivendo, fanculo mondo!” –  “ditemi quello che volete, venitemi pure contro, io sono qui e non me ne importa niente” – “scusatemi se sono nato, ma dovrete sorbirmi così come sono”. Erano sfoghi apparentemente limpidi, chiari, facili, senza un’ombra di temute ripercussioni, men che meno di ripensamenti o pentimenti, di riflessioni, lo sfondo era però triste, o più che triste, malinconico, alquanto romantico. Si celava dentro di loro null’altro che una voglia intimamente insensata di attirare l’attenzione delle altre anime vaganti, dei perché della gente, perché la risposta ai perché di tutti fosse una e una soltanto. La solitudine doveva scomparire. Insieme si lotta meglio. Pareva essere il pianto di un cane randagio solitario o d’un piccolo branco. Dal parco si levava la eco di queste urla forse d’aiuto. Alle prime impressioni scettiche e malpensanti dei borghesi erano proprio urla di rompicoglioni che rompevano il silenzio soave e delizioso della notte per inneggiare i loro slogan e imporre le loro fastidiose quante arroganti presenze. Erano invece grida disperate d’aiuto da parte di tre povere anime perdute in un mondo che tutt’oggi non riesce a consacrare il senso della vita. Ma già lo conosce. È la compagnia, lo stare assieme, l’amarsi.

martedì 25 dicembre 2012

è arrivato

Natale 2012 è arrivato.
Significa un altro anno dietro le mie spalle poiché è chiaro ed evidente l'approssimarsi del nuovo.
E' un altro anno che si deposita lieve come neve sulle mie spalle, sul mi corpo, sul mio viso e in primis sulla mia anima, un altro anno che mi cambia, punto. Nè in meglio nè in peggio. Mi cambia. E non so se spaventarmi di ciò.
Perché è quasi giunto capodanno 2013 ed in un batter d'occhio mi ritroverò a pensare all'anno appena passato, ai trascorsi, ai frangenti, ai nefasti episodi ed alle belle ma sporadiche esperienze.
E' così banale la nostra vita in questi momenti. Testate, post, sms, messaggi d'ogni genere, di gente d'ogni ordine e grado, tutti uguali, tutti scontati, tutti ricolmi di una inusitata retorica, adatta all'occasione, ma mai messa effettivamente in funzione, mai voluta e mai veduta realizzata.
Ma questi sono i momenti nei quali, forse, scorgiamo un barlume di speranza per l'avvenire, forse per l'anno venturo, sicuramente per un futuro ben lontano. L'utopia regna sovrana, ma l'importante, come sempre, è camminare.

Buon Natale.

domenica 27 maggio 2012

professionalità

Mi disturba il notare quanto chiunque si approcci come prima occasione in ambito lavorativo ad uno sconosciuto, voglia apparire innanzitutto "professionale":

1 Che riguarda la professione, spec. quella esercitata: esperienza p.; albo p.; serietà p.

Sì, questa parola null'altro indica che la "serietà", l'essere distaccati, freddi, almeno ciò a mio personale parere.
E' un vero e proprio epurante della virtù della sincerità, dell'essere veri, genuini, spontanei, caldi, autentici, onesti, limpidi, in poche parole SE STESSI.

Dunque questa professionalità, di cui molti si ricoprono sino al soffocamento, è agli antipodi delle due parole suddette.
Per molti miei coetanei, devo ammettere con un inusitato dispiacere, potrebbe essere uno dei migliori pregi per indicare una persona, meglio ancora se la propria persona.
Per qualunque adulto rinchiuso nel suo piccolo mondo, limitato e severo, fatto di grandezza, potere, gloria, è inoltre impossibile comprendere la mia visione di chiunque si fregi di questa bandiera, di questa parola, di questo modo di mostrarsi (ovvero di sembrare, di apparire).

Professionalità rievoca nella mia mente solo una scia infinita di pessimi esempi del mondo lavorativo (forse presi un po' dalla TV ma in gran parte dal mio vissuto). Ho come un'immagine che pare chiara ma assolutamente inesplicabile: è come un ricordo nitido ma che non riesco a trasmettere in alcun modo all'esterno. E' come un puzzle i cui pezzi sono tutti presenti, anche se in maniera disordinata, ma di cui ho colto comunque la figura, l'essenza.
E' la mia visione individuale, ma allo stesso tempo autentica, e' un uomo in giacca, camicia ovviamente, e cravatta che si gingilla e gongola nel suo status di persona qualitativamente eccellente soltanto perchè ricollocata su di un gradino sociale più elevato rispetto, per esempio, ad un semplice facchino, e soltanto per il motivo di risiedere evidentemente in qualche ufficio ben illuminato ed arredato con interni di marche, le più costose. E' questa l'immagine che ho della "professionalità".

Per me essere professionali è l'antitesi del porsi dinanzi agli altri esattamente così come si è. Significa indossare una maschera, e a volte si deve farlo per tenersi stretto il proprio posto, ma esserlo a tutti i costi è indistinguibile dal sentirsi grandi, superbi, idoli, è insomma il contrario della modestia, dell'umiltà.

Ora, per quanto questa mia concezione possa esser distante dalla realtà, io non sceglierei mai questa parola per descrivermi in ambiente lavorativo. Preferisco parole come "corretta" o "brava", "competente".

Io sogno di un mondo in cui, particolarmente in ambiente di lavoro, ogni essere umano sia libero di essere se stesso, di essere triste, di esser eccessivamente felice ecc... Sogno di avvicinarmi ad uno sportello di qualsiasi ufficio ed imbattermi con una persona, degna di tal nome, e non di incappare nell'ennesimo pezzo inanimato di un'immenso ingranaggio meccanico, che (e per fortuna IO ne sono al corrente) è solo la facciata costruita ed effimera di una società.


Chissà su questo tema cosa mi dirà più avanti la mia mente.

martedì 15 maggio 2012

QUELLA CHE DIVENTA UNA MODA


Siamo esseri facilmente influenzabili, basti vederci quando pensiamo ad aggiustarci o quando camminiamo per strada che ci sfiorano mille pensieri, tutti e mille riguardanti il nostro modo di sembrare. Ebbene sì, perché esiste un modo di sembrare, noi non ci limitiamo mica all’essere, se mai dovessimo essere, noi vogliamo soprattutto sembrare, apparire. Apparire è quindi un’azione molto importante se non fondamentale per la vita di ogni essere umano, persino per chi si dice esule da ciò ed escluso a priori dalla massa di materialisti che oggi occupa per una gran parte questo mondo. Ciascuno ha in sé una cupa vocina che gli dice “ma se sono così io poi non piaccio, io devo essere a modo, proprio come il modo degli altri, io devo farmi i capelli così, sfiorarmeli lentamente in questo modo qui, io devo tenere il mento alto, guardare dritto negli occhi della gente, non distogliere mai lo sguardo, devo mostrarmi forte e spavaldo, noncurante forse è meglio, per non dire ch’io debba apparire come la celebrazione del menefreghismo. Insomma io devo essere in un certo modo e questo certo modo deve essere accettato da tutti, ma perché ciò sia possibile non mi resta che adottare un modo da tutti perseguito. Sarò proprio come gli altri, sarò come tutti, sarò uguale, così non mi potranno attaccare da alcuno spiraglio di incertezza, non avranno ragione d’attaccarmi, di schernirmi o emarginarmi, allontanarmi per qualche differenza, io sarò proprio come loro. Questo mi renderà forte e intoccabile. Non mi abbatteranno perché io mi mostrerò sempre a loro superiore ed inarrivabile”.

Questo nostro timore di essere soggetti alla xenofobia che sappiamo abitare le menti di chiunque, persino la nostra, non ci fa sembrar altro che robot, o meglio, automi prodotti in serie, prodotti di una catena di montaggio, prodotti di menti altre, le quali pensano forse di essere elementi esterni a questo ingranaggio malato e contorto, dal quale invece nessuno è escluso. E’ un gioco crudele del mondo umano, e forse è nato proprio per sua mano.

Ma com’è noto, checché noi ci si mostri forti, potenti, spavaldi ed inarrivabili, tutti, senza distinzioni, siamo al corrente della verità. La realtà è che il timore, la paura, rende deboli e capaci di vivere la nostra vita in una maniera a noi davvero poco idonea. A causa di questa paura ci sforziamo nel svolgere determinate azioni che reputiamo normali solo perché già eseguite da qualcun altro prima di noi. Ci spaventa la sola idea di tentare ciò che non è ancora su carta, di cui non esiste precedente.

Ci sono alcuni di noi, persone senza dubbio come tutte le altre, che sanno organizzarsi in piccoli o grandi gruppi ma che pensano di essere oltremodo differenti dalla massa. Ma la massa, di per sé, è un elemento inesistente, poiché ogni individuo compete esclusivamente di se stesso, e dei suoi stessi integri pensieri ha l’esclusiva.

Questi gruppi pocanzi nominati sono i gruppi che si chiamano sovversivi, nel senso che così si chiamano più che altro tra loro stessi, o peggio chiamasi anche: alternativi. Quest’ultima è’ una parola che in passato, durante il periodo della mia adolescenza, era davvero abusata, molto utilizzata anche da me stessa in primis. Ma dopo tutti questi anni (che tanti non sono ma che sono contrassegnati dal mio personale sacro passaggio dall’infanzia, all’adolescenza, all’età adulta) è adesso ormai scaduta nell’uso da teenager odierno, quanto mai odioso, e che ripudio in toto.

Questa brava gente, che lotta in continuazione, lotta continua quindi, e non si sa mai per cosa, pensa di fare innanzitutto il bene degli altri, non rendendosi magari conto di fare per prima cosa ed immancabilmente i propri interessi. Lottare significa (ahimè, è una cosa che non sopporto) principalmente mettersi in mostra, mettersi al centro dell’attenzione, e della massa guidata, e di quella contrastata. Poiché pur sempre di massa si tratta.
Questa gente qui, dalla sfolgorante leadership, non è capace neppure di intuire che quel “movimento” che ha dietro le proprie spalle e che ha forgiato impastando le menti dei propri uditori, non è null’altro che la nuova genesi d’una massa monopensiero, un insieme, divenuto inviolabile, di individui, potente e travolgente, insopprimibile e micidiale per il solo fatto d’essere un’agglomerazione. Senza contare che il monopensiero uccide la ragione, l’ammazza a sangue freddo e rende il movimento un moto violento e inafferrabile. Queste menti geniali capaci di animare tutto ciò hanno dunque solamente coltivato i semi d’oppio di quella che si può benissimo definire una “religione”.

E’ stato facile per molti lasciarsi “muovere”, tanto è quello a cui ci hanno abituati sin dalla nascita.
E’ stato facile per i malati di leaderismo richiamare a sé tante menti, poiché da queste loro azioni traggono linfa vitale necessaria per continuare il viaggio sul mondo.

Ciò che deve far pensare è la differenza, che in questi anni si è andata sempre più appiattendosi, tra la lotta simbiotica fatta col cuore e con la ragione, fatta per un amore senza corrispondenti, non per amor proprio, non per voglia di mettersi in mostra, parlo di quella lotta che ognuno svolge quotidianamente dentro sé in particolare, che ora è in procinto di scomparire perché di perduta importanza, e invece un’altra lotta molto  cara ai sudditi del potere, caratterizzati da una irritante determinazione nel volersi creare delle inimicizie, nel voler creare scompiglio, instabilità, violenza, per aver sempre più potere nelle proprie mani

Questa gente dalle basse qualità intellettuali (seppur di quantità si abbondi al giorno d’oggi), mi riferisco ai sovversivi di cui sopra, non fa che il gioco di quei sporchi capitalisti infami bramosi di danaro.

Diventa lapalissiano che ogni azione è potenzialmente una moda, una tendenza, ma il suo divenirlo o meno deriva dal nostro modo di impostarla. Basta leadership, basta portavoce, basta deleghe, ognuno di noi deve pensare di per sé, non invitare qualcun altro a farlo al posto suo.

Pensare non può divenire una moda, è cosa impossibile. Sarebbe come dover cambiare il proprio guardaroba ogni santo giorno. Quindi stop alla pigrizia neuronale, via invece a un po’ di sano ragionamento.
 

sabato 14 aprile 2012

non è retorica

Il nuovo spot della Peugeot (http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=Egxywl_yj6A#!) con la bella voce di Stefano Accorsi che dice:

"siamo nati per muoverci
per sorprenderci
per gioire per creare
per emozionarci
per lasciarci il passato alle spalle


208 è nata per noi!"

QUESTA E' RETORICA.
Ma quando io ti parlo utilizzando le stesse identiche parole, con lo stesso identico significato...
IO NON TI STO VENDENDO NESSUN PRODOTTO!
Ti dico solo quello che penso. In quel dato momento.

Potrei dire "te lo giuro, te lo assicuro, hai la mia parola, stanne certo che è così, puoi credermi!". ma non sento il bisogno di difendere ciò che dico. Io sento il bisogno che sia palese ed ovvio che io sia la prima a crederci e che sia prima di tutto sincera e me stessa, che sia evidente che ciò che dico sia esclusivamente ciò ch'io penso e non qualcosa che voglio infilare a forza nella mente di altri...anche se non nego che mi piacerebbe che fosse facilmente possibile ( ;) ). Io dico SEMPRE ciò che penso, non perché ci devo guadagnare qualcosa..anzi. Finisco molto spesso col litigare persino coi miei migliori amici. Ma ciò ha per me ben poca importanza.

martedì 6 marzo 2012

Alessandro (Sandro) Pertini

1981
...
Pronto com'è alla dichiarazione e alla indignazione, Pertini diventa qualche volta, come personaggio ufficiale, una mina vagante. Talune sue gaffes sono rimaste famose. Ma anziché screditarlo, l'hanno ancor più umanizzato. I busti del Pincio che parlano solo il politichese più stretto farebbero carte false per potersi accaparrare le simpatie che Pertini conquista con una sortita capace di mettere a dura prova le coronarie dei diplomatici. Questo ottantacinquenne è un grande seduttore di folle, anche quando è ingenuo (o ci fa).

1982

La popolarità di Pertini viene proprio da questi che gli addetti al Palazzo consideravano i suoi difetti: l'impulsività, le impazienze, gli scatti, l'allergia ai doppi giuochi e alle manovre ritorte, insomma tutto ciò che comprova la schiettezza delle sue reazioni. Un sondaggio ha appurato che alla domanda: «A chi affidereste i vostri denari?», la quasi totalità degl'italiani ha risposto: «A Pertini». Sbagliando, perché Pertini di denaro non capisce nulla e se lo farebbe mangiare dall'inflazione. Ma il plebiscito dà la misura della fiducia nell'uomo. Perché proprio questo tutti riconoscono in lui: un uomo.

da Istantanee di Indro Montanelli

pag.240 ed. Rizzoli - 1994

pubblicazione retorica sulla rappresentatività

Molta gente non ha ancora capito quanto sia impossibile essere rappresentati degnamente. forse questa politica che vogliamo attuare, questa democrazia rappresentativa, fallisce proprio nel momento in cui si parla di rappresentatività, di essere rappresentati. ognuno di noi, ogni essere umano, può far le veci solo di se stesso, e solo di se stesso può conoscere princìpi, priorità, ragioni. non esiste al mondo altra anima che possa conoscerci e rappresentarci nè meglio nè quanto noi stessi. del resto già non ci conosciamo abbastanza da soli..figuriamoci.

La rappresentatività genera, a mio parere, i peggiori conflitti mondiali. TU non sei nessuno per decidere per mio nome e conto. Non delegare: questa sarebbe una soluzione.

Altrimenti poi succedono i malintesi, le incomprensioni, vengono dette falsità, per quanto in buona fede.

L'unica ragione che mi trattiene ancora a riflettere sulla necessità della rappresentatività è quella gente che, per farsi sentire, ha bisogno di una piccola spinta, un piccolo motivo in più per prendere parte nelle lotte. C'è gente più debole che può far sentire la propria voce solo tramite altre voci. E' questa gente che mi sta a cuore più di tutto e tutti, ed è per queste persone che continuerò a lottare e a propugnare il mio pensiero. Loro sono la mia ragione di vita. Paradossalmente i più deboli sono la mia forza, la mia speranza. ... sembra incomprensibile ma è così..sanno infondermi uno stimolo per poter andare avanti, una ragione per resistere. Sono per me qualcuno da salvare, sono la mia ragion d'essere.

Poi c'è quella gente buona solo a mal parlare degli altri...e non ha ancora capito che dietro l'immagine d'ogni persona si cela un essere che pensa, che teme, ha paura, che odia e che ama, che sorride, piange, soffre e che vive... Ma questa che mal parla è gente troppo razionale, capace solo di far calcoli (semmai), ma la vita ed emozioni non le si può calcolare. Mai.

sabato 25 febbraio 2012

Difetto di Verità

Se la mia "nuda" presenza attiva in altri, come spesso accade, spontanei processi emotivi e/o personalizzativi non posso esserne ritenuto responsabile. Sono, semmai, la causa, non la ragione di quei processi. Per poterne essere la ragione, dovrei provocarli intenzionalmente. A parte i casi di malafede, c'è un difetto di verità tutte le volte che si attribuiscono responsabilità per situazioni che non hanno un responsabile. Tuttavia, malafede e difetto di verità a nulla valgono rispetto al fatto che una cosa che c'è, c'è e non conta indipendentemente dall'esservene o no un responsabile.

da Il tempo e lo sguardo - del prof. Giovanni Cera

venerdì 20 gennaio 2012

Discorso sul metodo - René Descartes

E non so quali altre qualità contribuiscano alla perfezione dello spirito, perché voglio credere che la ragione, ovvero il [buon] senso, essendo la sola cosa per cui siamo uomini e ci distinguiamo dalle bestie, sia tutta intera in ognuno; e seguo in questo l'opinione comune dei filosofi, per cui il più e il meno si danno tra gli accidenti, non tra le forme o le nature degli individui della medesima specie.

giovedì 19 gennaio 2012

un MOVIMENTO può essere molto pericoloso

Oltre ad aver perso fiducia nei "movimenti", intesi come aggregazione di persone con unico pensiero/obiettivo, ora ne ho addirittura paura. Nel caso in cui questi movimenti nascano come forza civile spontanea al servizio del malcontento comune, pronta ad usare maniere poco ortodosse per raggiungere i propri obiettivi, reputo la parola "movimenti" e tutto ciò che ne consegue, fonte di profonda preoccupazione. E' troppo facile al giorno d'oggi trovare delle persone scontente che abbiano tanta sete di vendetta, magari che siano acciecate dalla rabbia. Questi movimenti "ciechi" potrebbero facilmente colpire chiunque, persino i più deboli. Io penso che la rivoluzione non possa e non potrà mai partire dall'unione furiosa e improvvisa di tante persone pronte a combattere con violenza fisica, oltre che verbale, le autorità o qualsiasi istituzione ed ente od anche lo Stato stesso, i quali, per un anche comprensibile sentimento unanime, rappresentano tutte quante le ingiustizie. Dietro questi movimenti minacciosi e immediati molto spesso non si cela neanche l'ombra d'una riflessione.

I movimenti sono troppo pericolosi e facilmente incanalabili e influenzabili (o forse spesso formati da membri puristi ed integralisti incapaci di fermarsi o di cambiare idea pur vedendo raggiunto il proprio obiettivo o avendo superato un certo limite). E' capitato più volte in passato che un movimento nato con alcuni sani principi e obiettivi sia poi degenerato in distopiche ambiguità.
[mi viene in mente il film tedesco "L'Onda - Die Welle"]
Preferirei, e penso non vi sia altro modo, che le rivoluzioni partano prima di tutto dall'interno di ogni singolo individuo. Preferirei che ogni individuo rivoluzioni prima di tutto se stesso, il proprio interno, la propria anima, il proprio modo di porsi agli altri, solo così potrà avvenire una rivoluzione: alzandosi un giorno, cercando di fare qualcosa di diverso dal solito ciclo di azioni impostoci dal nostro vivere in società (questa orribile e crudele), qualcosa che ci aiuti a liberare la mente da tutta la rabbia accumulata nel corso della vita.
La rabbia non sarà mai in grado di rivoluzionare se non trasformata in qualcosa di costruttivo.

I movimenti sono pericolosi! Ho avuto esperienze diverse di movimenti, nonostante la mia giovane età, e col tempo e con le proverbiali delusioni susseguitesi (mi riferisco al mio cambiamento d'opinione nei confronti di persone verso le quali nutrivo ingenuamente una sterminata stima), ho maturato le suddette conclusioni. Non sono pentita di aver provato a far parte di questa forma di lotta, ho solo compreso che non funziona...e mai potrà funzionare.

I movimenti sono pericolosi. - malgrado si riescano a immaginare, senza troppe difficoltà, le motivazioni dell'insorgere di masse di persone incazzate, visti i tempi bui in cui malauguratamente siamo capitati (ma era già tutto prevedibile anni e anni or sono). Il punto è che penso che un'unico pensiero, anche se diverso da tutti gli altri, possa cambiare il mondo, mentre tanti pensieri tutti uguali non portano da nessuna parte...e possono essere strumentalizzati. Morale: occhio a dirsi parte di qualsivoglia movimento. Il portavoce di codesto movimento, in quanto persona a sé stante, potrebbe cambiare egli stesso idea e pensiero da un momento all'altro e non essere più in grado di rappresentarti.
Io opterei dunque per il fidarsi sempre e solo di se stessi in ambito di lotte o scelte importanti, per scendere in campo rappresentando se stessi ed essendo rappresentati solo da se stessi, senza sentire il bisogno di affidarsi a chiunque altro.
["nessuno fa le veci dei principi che io ho." - articolo 31]